Esprimiamo la nostra posizione di estrema contrarietà rispetto alla progressione dell’”Istanza di conferimento del permesso di ricerca idrocarburi la Stefanina”, invitando l’Amministrazione Comunale a fare altrettanto, così da influenzare l’opinione pubblica e le future prese di posizione da parte del Ministero.
Riteniamo tale attività incompatibile con gli interessi e futuri sviluppi della zona, oltre che deleteri per la Comunità intera. Pertanto, invitiamo a sostenere modalità di produzione di energia che sappiano meglio valorizzare i territori.
Data la richiesta per “Istanza di Ricerca di idrocarburi in zona la Stefanina”proposta dalla società AleannaResources, in area di pregio naturalistico comprendente aree soggette alla tutela della Rete Natura 2000 (con più di 130 specie di interesse comunitario) ZPS “Valle del Mezzano”, SIC-ZPS “Valli di Comacchio”e SIC-ZPS “Biotopi di Alfonsine e Fiume Reno, dal sempre più precario equilibrio ecologico, solleviamo le nostre perplessità rispetto le operazioni dal carattere invasivo cui queste zone saranno soggette.
Stiamo parlando del rilievo geofisico 3D operato dalle camionette vibroseis per ottenere un quadro tecnico della morfologia del sottosuolo e quindi della probabile presenza di idrocarburi (metano). Infatti, inviando una serie di onde elastiche nel sottosuolo, provocate da vibrazioni generate dai mezzi, è possibile definirne la conformazione attraverso l’individuazione della frequenza riflessa, da parte di un geofono.
Attività invasive di questo tipo nelle immediate adiacenze di aree soggette a tutela, possono senz’altro generare degli squilibri etologici nei confronti della fauna presente (anche in vista dell’effetto cumulativo delle camionette con quello di altre attività già in essere nella zona), oltre che apportare ingenti quantitativi di inquinanti. Dal progetto emerge la necessità di individuare quasi 5400 punti di vibrata, dove per ciascuno saranno previste ben 4 camionette in attività per almeno 5 minuti ciascuna, alternativamente. Immaginiamoci quindi il livello di emissioni che può andarsi generare in un’area già soggetta a forti pressioni antropiche.
Visto l’elevato onere economico di investimento per la realizzazione del rilievo geofisico 3D (quasi 3 milioni di euro tra “La Stefanina Sud e la Stefanina Nord”), e quindi una certa sicurezza da parte della società proponente di intercettare delle “trappole metanifere”, sorge spontanea la preoccupazione rispetto quelle che saranno le operazioni successive di esplorazione e di coltivazione in una zona a forte rischio di subsidenza.
Questo in vista non solo degli effetti diretti che potrebbero manifestarsi sugli habitat di interesse comunitario, ma anche rispetto ai costi che potrebbero gravare sulla comunità (costruzione di idrovore ed impianti finalizzati a ristabilire l’equilibrio idraulico) e sulle attività agricole (moria delle colture e danni ai frutteti a seguito dell’eventuale innalzamento del cuneo salino).
Inoltre, citando quanto recentemente riportato da uno studio dell’ENEA, Ravenna e Ferrara saranno sicuramente due zone interessate alla sommersione a seguito dell’incremento del livello del mare provocato dai cambiamenti climatici, fattore ovviamente aggravato dalla subsidenza naturale ed antropica. Ci pare già un elemento quanto meno sufficiente a far prevalere il buon senso a questa follia.
E’ importante, inoltre, considerare le future conseguenze generate dalla realizzazione di tutte quelle strutture che avranno origine per consentire l’estrazione e la distribuzione della risorsa fossile, sulle aree di interesse comunitario (soprattutto per quanto riguarda possibili “tecnologie orizzontali” che potrebbero arrivare ad estrarre al di sotto delle suddette zone).
Pertanto, siamo a sottolineare la nostra profonda contrarietà alla richiesta, così da stroncare sul nascere future progressioni di coltivazione di idrocarburi in queste aree. Ci proponiamo comunque, di accogliere altre forme per la produzione di energia, in linea con quelli che sono gli accordi di Parigi rispetto al futuro del pianeta. Nel merito citiamo uno studio nazionale di Legambiente sul biometano, dal quale emerge su elaborazione di dati del Consorzio Italiano Biogas, che incanalando efficacemente le risorse finanziarie ed immettendo il biometano all’interno della rete SNAM, sarebbe possibile produrre 4 volte il metano estratto da tutte le piattaforme off-shore entro le 12 miglia, sul territorio nazionale (il biometano in Italia, ottenuto come upgrading del biogas che può essere immesso all’interno della rete SNAM ammonta ad oltre 8 miliardi di metri cubi, ovvero il 13% del fabbisogno nazionale).
Biometano che sappia valorizzare le realtà territoriali attraverso il corretto smaltimento di rifiuti e scarti agricoli, limitando le colture dedicate alle aree marginali, che non sarebbero altrimenti sostenibili da un punto di vista economico.